Tecnologia in sanità, dal Congresso SIT un nuovo modello di telemedicina

“Recentemente a Bologna al Congresso internazionale della Società italiana di telemedicina (Sit) una serie di esperti di Europa e Italia si sono riuniti per capire come si svilupperà la telemedicina, la grande innovazione che pervaderà la medicina del futuro – afferma Antonio Vittorino Gaddi, presidente Sit – In questo contesto, oltre alle nuove tecnologie, sono stati presentati dei documenti. Uno particolarmente importante, ‘Dignitas curae’, ha come primo firmatario Papa Francesco e propone, a tutto il personale sanitario, ma anche ai tecnici che si occupano di salute, di partire dal concetto del rispetto della persona, fondamentale per orientare il nostro agire. Da questo – continua – è iniziato un percorso interassociativo perché, nella messa a punto di applicazioni della telemedicina su prevenzione cura e diagnosi, si parta da valori condivisi non solo da medici o ricercatori e società scientifiche, ma anche dalle società del terzo settore, cittadini, pazienti e dalle imprese, che poi devono organizzare i servizi per la salute”.

Oggi c’è una grande confusione, “tante proposte, tante novità – osserva Gaddi – e non è così facile capire cosa e come fare per tutelare la salute. In questo nuovo processo ideato a Bologna, se ci mettiamo d’accordo sui valori della scienza – il metodo scientifico è rigoroso, ci dà garanzie – e sui valori dell’etica, non possiamo che fare bene per la salute ed è automatico che saremo in coproduzione e interoperabilità”.

Lo sviluppo della medicina è sempre passato anche attraverso esperienze che non hanno fatto il bene atteso. “Se la telemedicina verrà usata male potrà non fare bene – avverte il presidente Sit – L’idea di usarla con la prima app che si scarica o con la prima industria che voglia vendere un prodotto è dissennata. La telemedicina determina atti medici e va usata dagli esperti. I software fatti per le banche non possono essere direttamente applicati in medicina. Medico, paziente e informatico devono prima scambiare i valori, e poi fare il software”.

Difficoltà e prime linee guida

La telemedicina “ha un potenziale gigantesco, però siamo molto lontani da poter dire che la possiamo usare su tutta la popolazione o che ci aiuterà a risolvere i grandi problemi della sanità – ribadisce Gaddi – Asl e Regioni non stanno facendo del loro meglio per arrivare ai fondi del Pnrr. Stanno accaparrandosi le risorse senza avere le competenze e i mezzi. Questo è un settore dove non possiamo permetterci una approssimazione di questo tipo e poi – rimarca – scontiamo la mancanza di figure competenti nella materia, non le abbiamo mai formate e ora le Asl non hanno nessuno”.

Secondo il presidente Sit “ci sono delle difficoltà da superare” che vanno dall’interoperabilità del dato clinico, raccolto nel fascicolo sanitario elettronico (Fse), all’accesso in tutte le Regioni. “I dati clinici di tanti italiani – aggiunge – sono cartacei e conservati spesso in qualche cassetto. Insomma, abbiamo il problema di alimentare il Fascicolo sanitario e la piattaforma. Inoltre, il Dm 77 (sulla sanità nel territorio, ndr) non prevede esplicitamente che ci sia un lavoro di sinergia, soprattutto in ambito clinico, con i software usati dai medici di famiglia. Un tema che va chiarito”.

Attualmente “il Pnrr prevede, per le risorse destinate alla telemedicina, di organizzare le aree di intervento (teleconsulto, televisita, assistenza integrata) seguendo una particolare logica – ricorda il professore – Si andranno ad assistere principalmente i soggetti con scompenso cardiaco, chi ha un pacemaker, i cardiopatici, i diabetici, i pazienti con problemi polmonari cronici. Poi chi ha patologie neurologiche, soprattutto chi ha il Parkinson, e c’è anche il settore oncologico, dove non si è scelto un organo o un nome di una malattia, ma uno stato clinico: fragili, cronici oncologici seguiti già a domicilio”.

Le applicazioni più significative, attualmente, si registrano in ambito cardiovascolare con le prime Linee Guida per la Telemedicina in Cardiologia, frutto della collaborazione tra la Sit, l’Istituto superiore di sanità e tutte le società scientifiche di settore che regolano le prestazioni di teleriabilitazione cardiovascolare e di telemonitoraggio cardiologico, prestazioni diagnostiche, come la televisita cardiologica, che avviene dopo una prima visita in presenza, e la telerefertazione. Con questo documento si guarda a un futuro che è già presente, ossia una rete tra l’ospedale, punto di riferimento per eventi acuti come scompenso cardiaco e aritmie, e la medicina del territorio, con il Medico di medicina generale e le case della salute, per la gestione della cronicità.

La rivoluzione dei codici biologici

Al congresso sono stati presentati, per la prima volta, i 278 codici biologici dell’uomo dimostrati sperimentalmente. Ne ha parlato, nella sua lettura magistrale “il professor Marcello Barbieri, un fisico nato all’ateneo di Bologna – ricorda Gaddi – che ha approfondito l’embriologia con una incredibile carriera internazionale nei vari centri più prestigiosi del mondo. I codici biologici sono una rivoluzione scientifica che cambierà il futuro del percorso della medicina, anche della tecnologia nella medicina, ma soprattutto il modo di interpretare il mistero della vita dell’uomo”.

“Con i soli 30 mila geni del codice genetico – spiega il professore – non si spiega la complessità dell’essere umano che vive, cammina, ama e si rapporta con gli altri”. L’organismo umano “miracolosamente, verrebbe da dire – continua Gaddi – parte da poche cellule, ma già a pochi mesi di vita è un capolavoro di complessità: compie funzioni, prova sentimenti e si esprime. Per spiegare questa complessità sia nell’evoluzione della specie, sia nel singolo individuo, è necessario postulare l’esistenza di altri sistemi, codici che permettono di amplificare le informazioni. I codici – precisa – contengono l’informazione che può regolare le varie funzioni e sono collegati ad altri acidi nucleici e molecole. Nel genoma umano, leggiamo una serie di basi, ma c’è intorno un insieme di cose che non comprendiamo. È un passaggio epocale per i prossimi 10-30 anni, per andare oltre al Dna e all’ambiente”. Parallelamente, però, “ottenendo più informazioni sulle cellule e sullo sviluppo delle malattie – conclude – abbiano bisogno di sistemi che permettano di elaborare masse di dati. Attualmente, quello che sappiamo è appena il 4-5% di quello che servirebbe per capirci qualcosa davvero. Con queste innovazioni siamo vicini a passare dal 5 al 20-40% della conoscenza, con benefici anche per la salute”.

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